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Festa patronale di San Bernardo

Il 20 di agosto si celebra la festa patronale di San Bernardo. Una volta la Compagnia dei pastori seguiva la tradizionale processione con un grande cero che pesava circa 25 kg.. Un po’ di storia… La scelta della data, 20 agosto, era funzionale ai movimenti di abbandono e ritorno al paese sia di pastori sia di contadini. Infatti la chiesa parrocchiale di Roaschia è dedicata a San Dalmazzo, la cui celebrazione ricorre nel mese di ottobre, quando i pastori erano già scesi e molti contadini avevano preso la via dell'emigrazione stagionale. San Bernardo può vantare solo un pilone votivo dedicato alla sua figura, ma grazie alla sua collocazione calendariale favorevole, è diventato patrono dei Roaschini tutti. Il 20 di agosto era quindi l'unico momento in cui tutti gli abitanti del paese si trovavano riuniti a Roaschia. Per i pastori rappresentava l'unica vera festa a cui potevano partecipare e lo facevano da protagonisti. Infatti l'intera festa era gestita sia organizzativamente sia economicamente dalla Confraternita dei pastori, un'istituzione la cui fondazione risale al secolo scorso. La Confraternita aveva un priore la cui carica durava un anno e veniva trasmessa dal priore uscente a un altro pastore. I contadini non avevano possibilità di accedere a tale carica. Il priore e la priora (la moglie) avevano il compito di mantenere in ordine la chiesa, sostituirne gli arredi deteriorati, acquistare talvolta un abito nuovo al parroco, e fare offerte cospicue. Accanto ai priori, a coadiuvarli nell'attività, c'erano i massè (massari) due coppie di giovani, una sposata, l'altra no. Anche la carica di massè era riservata ai pastori. In occasione della processione queste figure sfilavano dietro la statua del santo, mettendo così in evidenza il predominio dei pastori nella festa ed esibendo il turciun, un enorme cero alto tre metri, che pesava fino a venticinque chili e recava inciso su una targa i nomi del priore e della priora. Questo cero era il simbolo più forte del prestigio vantato dai gratta, una sorta di affermazione morale ed economica che li faceva apparire come i veri protagonisti della festa. Quello di priore era un ruolo che conferiva un notevole prestigio a chi lo svolgeva, ma che comportava una spesa non indifferente e innescava un nuovo motivo di competizione tra i pastori. «Era importante fare di più di quello di prima. Si faceva per non passare "piccolo". In paese la gente guarda queste cose. Poi il prete, alla messa, diceva a tutti i lavori fatti con i soldi del priore» (Toni Giraudo). Soprattutto la gestione del priorato era l'affermazione, da parte dei pastori, del loro controllo su di un centro, dal quale erano distanti per la maggior parte dell'anno. Da settembre a maggio i gratta stavano lontani da Roaschia, lasciando la villa "in mano" ai contadini. E' interessante notare come i pastori, quando si riferiscono a un contadino di Roaschia, adottano il termine üvernenc, oppure l'espressione "di qui", quasi a sottolineare il loro parziale essere stranieri. I contadini sono "di qui", loro un po' meno. Era quindi forte il desiderio di imporre la loro presenza in modo evidente. E il veicolo giusto era proprio la festa patronale, che diventava così lo specchio di una società soggetta a un'esistenza alterna. Uno specchio deformante, come quelli del luna-park, che ingigantiva le figure, esasperando così i rapporti tra le due fazioni del paese. La festa di San Bernardo, concentrando nel tempo e nello spazio gli individui delle due parti, con le loro visioni del mondo diverse, amplificava la tensione, sia tra i pastori, in lotta per un prestigio sempre minacciato, sia tra pastori e contadini, rivali da sempre. Contributo scientifico del ricercatore di Antropologia culturale presso l'Università di Genova - Marco AIME - di famiglia roaschiese (su gentile concessione dell'autore).



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